Andiamo avanti con l’opposizione in Cgil. In direzione ostinata e contraria!

Ho appreso ieri, appena pochi minuti prima che fosse pubblicata sul sito, la decisione di Sergio, Maria Pia e Stefania di lasciare la Cgil. Dico subito che rispetto la loro decisione e gli auguro che il loro impegno a fianco dei lavoratori e delle lavoratrici prosegua e si affermi nei prossimi mesi. Impegno che, da quando li conosco, li ha sempre contraddistinti. Lo dico con franchezza e senza rancore, né politico né personale. Io però non condivido questa scelta. Questa decisione, seppure improvvisa era comunque nell’aria da tempo. Ho chiesto ripetutamente in questi mesi, insieme ad altri compagni, che un’eventuale prospettiva di uscita dalla Cgil fosse discussa apertamente, pensando che fosse poco responsabile tenerla sotto traccia. Con il rischio che poi esplodesse improvvisamente, come appunto è oggi. La discussione si è in ogni caso aperta alla assemblea del 12 maggio, che ritengo abbia largamente sostenuto una posizione diversa da quella di chi pensa che il nostro impegno nella Cgil, come area di opposizione, debba definitivamente chiudersi. Sperando di interpretare il più possibile i tanti lavoratori e lavoratrici che hanno sostenuto il nostro documento all’ultimo Congresso, insieme a altre compagne e compagni ho presentato all’assemblea del 12 maggio un documento, che invito ancora a sostenere e sottoscrivere. (Per completezza ricordo anche che lì è stato presentato anche un altro documento, con analisi e posizioni differenti, sostenuto da Paolo Brini, Paolo Grassi, Mario Iavazzi e altri compagni e compagne). Non condivido la scelta di Sergio, Maria Pia e Stefania di uscire dalla Cgil principalmente per tre ragioni. 1. Non condivido l’analisi proposta più volte sul fatto che le vicende di questi ultimi mesi abbiano definitivamente chiuso ogni spazio per l’opposizione in Cgil. Questo non significa in alcun modo sottovalutare la gravità di quanto è accaduto in questi mesi, prima contro le compagne e i compagni di FCA con la assurda dichiarazione di incompatibilità e poi con la revoca improvvisa e ingiustificata del distacco a Sergio. Ho condiviso insieme agli altri la campagna di difesa di quei compagni e di quelle compagne, dalla iniziativa alla Facoltà di Lettere a Roma, alla dichiarazione di “siamo tutti incompatibili”, all’appello che autorevoli economisti, intellettuali, ex sindacalisti e esponenti dei movimenti hanno sostenuto insieme a noi. Credo che sia stata la nostra radicalità e la nostra determinazione a fermare almeno in parte il gravissimo atto autoritario da parte della Fiom contro le delegate e i delegati Fca. E ho condiviso la rabbia, l’indignazione e lo sdegno di fronte alla punizione subita da Sergio, con un atto vile, vigliacco persino, di una organizzazione che non riuscendo a dare una risposta politica ha deciso di darne una burocratica, sostenendone la legittimità nell’affermazione di un centralismo nemmeno più democratico. Non sottovaluto, dunque, tutto questo. E non ho granitiche certezze sulla capacità che avremo di resistere allo scontro che si è aperto. Lo verificheremo nei prossimi mesi e nel prossimo congresso, consapevoli di tutte le difficoltà. Ma non credo che gli spazi del dissenso siano oggi definitivamente chiusi. L’imposizione autoritaria della Fiom, contro Sergio e contro i delegati FCA, infatti, non è casuale ed è strettamente connessa alla capitolazione politica e sindacale che la Cgil sta conducendo in questa fase, con il testo unico del 10 gennaio, la chiusura delle mobilitazioni contro il jobs act, il nuovo modello contrattuale con Cisl e Uil e i rinnovi in corso. Ma questa linea presenta ancora diverse contraddizioni e controtendenze e laddove riusciamo a esercitare rapporti di forza – questione cruciale e non rinviabile – le nostre compagne e i nostri compagni sono ancora in grado di resistere e praticare il conflitto e il dissenso, anche radicale, senza compromessi, fosse anche “incompatibile” come hanno appunto voluto etichettarci in questi mesi. Ne danno prova quotidianamente tante e tanti che hanno firmato il documento che richiamavo prima (Same, Piaggio, Gkn soltanto per citarne alcuni e forse i più conosciuti). Un dissenso e un conflitto che abbiamo trovato la forza di continuare a esercitare nel passato, anche di fronte ad altre pesanti strette repressive. Allo scorso congresso, quando hanno sistematicamente falsificato i risultati del voto con brogli e manipolazioni insostenibili, schiacciando in modo sleale il nostro consenso sotto al 3%. Quando ci hanno tenuto illegittimamente fuori dagli organismi dirigenti in diverse categorie e territori (Filcams, Filt, Calabria, Firenze, ecc), tentando anche di escluderci dallo stesso direttivo nazionale Cgil. O quando, qualche anno prima, circa 20 compagni della Piaggio furono espulsi a Pisa. O, ancora, quando rsu in Veneto e Piemonte sono stati espulsi dalle proprie federazioni territoriali per le critiche alla linea della Cgil o l’adesione ad iniziative dei sindacati di base. Non ci hanno fermato allora, non ci devono fermare oggi. 2. Pur apprezzando e rispettando il lavoro spesso importantissimo che fanno tante compagne e compagni nei sindacati di base e ritenendo il rapporto con loro un elemento centrale del nostro impegno per la ripresa del movimento e delle lotte, non credo che la scelta di aderire a un sindacato di base ci renderebbe oggi più forti. Non tanto per il livello di litigiosità interna alle varie sigle, spesso a danno dell’iniziativa più generale. E non soltanto per il fatto che spesso, anche all’interno dei sindacati di base, la difesa del pluralismo interno è cosa difficile, vedi cosa è accaduto recentemente nell’Usb, con l’espulsione di due componenti dell’esecutivo e di una consistente area di compagni e compagni, poi confluiti in Sgb, perché sostenevano posizioni diverse e provavano a organizzare il dissenso rispetto alla linea di maggioranza. Ma soprattutto perché per me una pratica sindacale classista deve porsi il problema di rapportarsi a una dinamica e a una conflittualità di massa, e non semplicemente a un’avanguardia o a ristretti settori. La Cgil, nonostante la sua innegabile burocratizzazione e progressiva cislizzazione, mantiene una reale penetrazione nell’insieme dei lavoratori e delle lavoratrici del nostro paese. Per questo ritengo fondamentale verificare ogni possibilità di sviluppare in questo sindacato una opposizione di classe. Se questi spazi si restringeranno progressivamente sino a scomparire, non ho sposato senza possibilità di divorzio la Cgil. Ma il centro delle mie scelte rimarrà sempre la costruzione di un sindacalismo classista in una dimensione di massa, in rapporto con le lotte e i conflitti sociali, che non si determina semplicemente sulle volontà dei militanti o sulla repressione della burocrazia. 3. Penso che sia stato un errore condizionare la scelta di stare o non stare in Cgil alla disponibilità di Susanna Camusso e della sua segreteria a dare o meno un altro incarico all’interno dell’organizzazione a Sergio Bellavita. Fermo restando la giusta richiesta che venisse ripristinata la garanzia del pluralismo e la ferma denuncia dell’atto autoritario e punitivo della Fiom, non credo che una scelta così importante potesse precipitare sulla decisione della Cgil. Non ho mai avuto dubbi sul fatto che si dovesse difendere il ruolo e l’agibilità di Sergio come nostro portavoce. Ma l’unico modo di sanare la ferita aperta era, in astratto, che la Cgil portasse la Fiom a fare retromarcia. In astratto, appunto, perché è esplicita in questa fase la sintonia tra Cgil e Fiom. Credo che avremmo dovuto da subito perciò dire con forza che il nostro portavoce avrebbe continuato a essere Sergio, anche rientrando in fabbrica. Non sottovaluto affatto le difficoltà organizzative che avremmo avuto e ovviamente questa scelta avrebbe dovuto confrontarsi con la disponibilità anche personale di Sergio. Ma penso che questo sarebbe stato un nostro punto di forza e ci avrebbe dato un argomento in più per criticare la distanza degli apparati burocratici dai posti di lavoro e per definirci con ancora più ragione “un’altra cosa”. Quando la Cgil, pur negando un nuovo incarico, ha proposto che si sarebbe fatta carico dell’agibilità affinché Sergio continuasse a fare il portavoce (garantendo tutti i permessi necessari, non soltanto quelli previsti dalla legge per i direttivi), ho pensato che, pur non sanando affatto il torto subito da tutte e tutti noi, questo ci avrebbe consentito di prendere questa strada. Dal punto di vista della nostra storia collettiva, avrei trovato molto più imbarazzante dover accettare una nuova collocazione in un apparato, nel caso che Susanna Camusso la avesse proposta. Per chiudere, una considerazione sulla vicenda che mi travolse in prima persona, quando quattro anni fa, nel 2012, ci furono le epurazioni a Bergamo, con Beppe Severgnini costretto a tornare in fabbrica alla Same e io trasferita di forza a Roma a fare più o meno niente. Cito quello che hanno scritto i delegati della N&W (la più grande fabbrica che seguivo quando ero a Bergamo) poche settimane fa in una lettera indirizzata a Landini in solidarietà a Sergio: “Caro segretario, non ci siamo allineati allora che hai trasferito Eliana e non ci allineeremo neanche adesso che revochi il distacco a Sergio”. Penso che dobbiamo avere esattamente questo atteggiamento. Nel 2012 fu un colpo durissimo per l’area a Bergamo e passammo nel giro di pochi mesi da tre funzionari a uno, ma quattro anni dopo siamo ancora qui, non abbiamo perso i nostri compagni e le nostre compagne, non ci siamo demoralizzati e soprattutto non abbiamo mai abbassato la testa né ceduto di un millimetro sul terreno della radicalità. E questo comportamento ha pagato, tanto che due anni fa, brogli a parte, stavamo quasi per vincere il congresso in Fiom. Oggi il problema maggiore ce l’ha il segretario della Fiom di Bergamo che, con noi contro, è talmente debole da non essere nemmeno più in grado di convocare il suo direttivo. Ecco, compagne e compagni, se c’è un prezzo da pagare, facciamolo pagare a loro. Noi andiamo avanti! Manteniamo e sviluppiamo la nostra opposizione di classe, cercando di valorizzare e soprattutto ricomporre le lotte, dentro le tante fabbriche e aziende in cui lavoratori e lavoratrici stanno provando a resistere. Proviamo a riprendere il percorso di costruzione di un fronte di lotta contro il governo e il padronato, come sta avvenendo in Francia e in Grecia in condizioni sociali e politiche forse anche più difficili di quelle italiane, dopo la capitolazione di Tsipras e il lungo Stato di emergenza francese. Continuiamo la nostra lotta, in direzione ostinata e contraria, per un sindacato di classe, per la ripresa del conflitto sociale.

Eliana Como  
comitato centrale Fiom, direttivo nazionale Cgil 

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