Le attese tradite dei metalmeccanici

Dopo 17 mesi senza contratto nazionale, i lavoratori si aspettavano qualche cosa di meglio. Forse sarebbe meglio dire che si aspettavano almeno qualche cosa. Invece se c’è qualcosa, in questa intesa siglata il 26 novembre da Fim, Fiom e Uilm, e messa ai voti in fretta e furia a ridosso delle festività natalizie, c’è un grande favore fatto agli industriali. Che infatti non hanno nascosto la loro felicità, sia nelle dichiarazioni ufficiali, sia attraverso l’organo di stampa della Confindustria. Con la solita superficialità di certo giornalismo, o, se si preferisce, con la consumata acquiescenza nei confronti dei padroni, anche tutti gli altri organi di informazione hanno accreditato la fandonia di un aumento di 92 euro ai lavoratori. Le cose stanno ben diversamente, fermo restando che, anche nell’ipotesi di un tale incremento delle buste paga non ci troveremmo certo di fronte a salari da capogiro. L’aumento in denaro sarà di circa 50 euro a regime, cioè al quarto anno di vigenza del contratto. Per arrivare ai 92 euro bisogna aggiungere una serie di benefit che compongono il cosiddetto “welfare aziendale” che sta diventando sempre più di moda in quanto consente ai datori di lavoro di far finta di aumentare gli stipendi non pagandoci le tasse sopra. Per il periodo di vacanza contrattuale saranno “elargiti” la bellezza di 80 euro. Come dire 4,70 euro per ognuno dei 17 mesi! Ma bisogna anche precisare che la Federmeccanica, rappresentante di categoria del padronato, è riuscita ad ottenere due importanti risultati nell’ambito dei principi contrattuali del lavoro. In primo luogo far decorrere gli aumenti contrattuali, previsti come adeguamento all’inflazione, ex-post, cioè a scadenza del triennio e non con il meccanismo previsto fino ad oggi, che accordava degli aumenti immediati sulla base di una inflazione prevista e rimandava la compensazione eventuale a un secondo momento di verifica. L’altro principio è la “non sovrapponibilità” degli aumenti del contratto nazionale con quelli eventualmente ottenuti nella contrattazione aziendale. Questi ultimi verranno riassorbiti fino alla totale uniformazione ai parametri nazionali. In questo modo, i benefici della contrattazione aziendale si dovranno limitare a voci variabili del salario, in stretta connessione con gli obiettivi di produttività aziendali. Ed è veramente il trionfo dei principi confindustriali. Landini, segretario nazionale della Fiom si consola raccontando e raccontandosi che i lavoratori hanno votato all’80 per cento a favore del contratto, dando “una grande prova di democrazia”, ma sa benissimo come funzionano queste cose e sa altrettanto bene che nelle aziende più grandi, dove esistono gruppi di lavoratori d’avanguardia, le cose non sono andate affatto così. Ad esempio in tutto il gruppo Fincantieri i lavoratori hanno bocciato il contratto. Così è andata anche alla Tenaris di Dalmine, all’Electrolux, alla Piaggio di Pontedera, alla Continental, alla Thyssenkrupp di Terni. Alcuni territori hanno votato No al contratto: Trieste, Bergamo, Napoli, Genova, Parma, Modena. E questo nonostante una circolare interna della Fiom vietasse ai dirigenti locali di difendere le ragioni del No, anche quando queste ragioni erano state fatte proprie dai direttivi sindacali provinciali, come nel caso di Genova e di Trieste. Insomma, si è visto il solito logoro copione della burocrazia sindacale, impegnata a far apparire la sua consultazione farsesca come una reale espressione di democrazia dei lavoratori. Ma l’opposizione da parte dei lavoratori delle grandi aziende lascia ben sperare su un recupero della capacità rivendicativa e sulla volontà di non dare per chiusa definitivamente la partita.  

R.Corsini 

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