Come estendere le esperienze di lotta nelle fabbriche

“Come estendere le esperienze di lotta”…questo è il titolo dato al dibattito ed è una bella domanda! E’ la domanda del secolo, quella da cento milioni di dollari, almeno in questa fase di trentennale riflusso… Anche se non sono neppure certo di averla capita: si intende con essa “estendere le lotte esterne alle fabbriche all’interno di esse”? O piuttosto “intensificare le lotte in corso all’interno di esse, condividendole con le altre fabbriche e le altre realtà”? Se la prima interpretazione della domanda è quella più giusta mi arrendo in partenza! Non è pensabile – oggi almeno! - pensare di mobilitare i lavoratori a sostegno di cause politiche o sociali che non riguardino le condizioni di lavoro e gli interessi diretti e specifici delle singole realtà produttive. Nel secondo caso invece, si può e si deve fare molto, sebbene non ci si possa aspettare grandi risultati nel breve periodo. Intanto bisogna dire che le lotte non sono tutte uguali: c’è la madre di tutte le lotte, almeno sindacalmente parlando: quella di chi lotta per il posto di lavoro, perché rischia di perderlo per delocalizzazioni o tagli del personale. C’è quella di chi lotta per veder stabilizzato il proprio lavoro precario. C’è la lotta per veder riconosciuti miglioramenti salariali o delle condizioni di lavoro, per il rinnovo del contratto, per la semplice e piena attuazione degli accordi contrattuali in essere… C’è poi la lotta per rendere (almeno!) la propria organizzazione sindacale all’altezza di queste lotte… e c’è la lotta per coinvolgere chi non sa più cosa significhi lottare! Colleghi che vedono nel sindacato un complice dalla proprietà o un esempio di malapolitica; nei delegati, dei colleghi alla ricerca di privilegi e posizioni di favore; nei colleghi di altre categorie o mansioni, gente sempre e comunque “trattata meglio”….Si è persa completamente quella che si chiama “coscienza di classe”, si è lasciato dilagare anche all’interno delle fabbriche l’individualismo, le difese corporative e le rivendicazioni particolaristiche; si è visto ridursi ai minimi storici il senso di comunità e la consapevolezza del valore dell’unità. Il mio impegno sindacale ha messo al centro la lotta contro la “burocratizzazione” e il “verticismo” delle strutture sindacali da un lato, contro quello che definisco “analfabetismo politico-sindacale di ritorno” dall’altro. Senza la consapevolezza dei lavoratori, senza la loro capacità di uscire dal branco del qualunquismo, senza un minimo di impegno nel cercare di capire, ad esempio, le differenze fra un sindacato e l’altro, quali lotte si possono fare? La lotta per salvare il posto di lavoro, giusto quella! Perché spesso inizia quando arrivano le prime lettere di licenziamento e tutto diventa chiaro a tutti… estremizzo lo so, ma non c’è forse del vero?! In questi casi i lavoratori reagiscono e si muovono - magari bene! - anche le organizzazioni sindacali, che riescono – magari spesso! – anche a salvare il salvabile: ma dov’erano state fino al giorno prima? Quando il lungo e duro lavoro di organizzazione della militanza, di formazione e per quanto possibile selezione dei delegati era stato insufficiente per i più attenti, invisibile agli altri? Le altre lotte, quelle ad esempio per il miglioramento delle condizioni concrete di vita in fabbrica, o anche per la piena attuazione degli accordi interni sottoscritti vengono sempre “frenate”: da sindacati come la FIM certo, ma spesso anche dalla FIOM! Che si nasconde dietro al ”senso di responsabilità”, alle “diverse priorità”, al “rischio dell’isolamento”.. ecc. ecc! Avrei molti esempi da fare, esempi di come nella mia realtà si subisca passivamente ogni piccolo o magari neanche tanto piccolo sopruso, perché non è mai grande abbastanza per giustificare un’assemblea, uno sciopero, una qualsiasi reazione. Se è vero che non si può mandare la gente allo sbaraglio e che senza eserciti non c’è generale che vinca le guerre, è anche vero che ogni esercito ha bisogno di un condottiero che indichi una strada. Deprecabili metafore militariste a parte, è in queste elementari considerazioni che io trovo una sintonia con la minoranza interna della CGIL e della FIOM de “il sindacato un’altra cosa”. E’ nella necessità di mettere al primo posto il coinvolgimento dei lavoratori, sfruttando ad esempio le nuove possibilità tecnologiche nei campi della comunicazione, con iniziative che favoriscano la visibilità e la differenziazione della nostra organizzazione rispetto alle altre! Sono abbastanza stufo di sentir esaltare la “diversità” della FIOM e i suoi “cento anni di storia”… Mi sembra si finisca col cantarsela e suonarsela da soli! E’ essenziale riportare nelle fabbriche la sensazione che il sindacato fa quello che vogliono i lavoratori e non il contrario! Puntare sulla formazione e sulla selezione dei delegati…Pretendere da essi l’impegno militante che si deve proprio a quei “cento anni di storia”! 

Vittorio Marchesi 
delegato RSU Moto Guzzi
 

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